Espulsione amministrativa: la relativa disciplina, dettata dall’art. 13 del D. Lgs. n. 286/1998, è applicabile soltanto “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea” e agli “apolidi”. L’allontanamento dei cittadini comunitari e dei loro familiari, infatti, è soggetto alla distinta regolamentazione di cui al D. Lgs. n. 30/2007. L’espulsione amministrativa a sua volta si distingue in ministeriale e prefettizia.
L’espulsione ministeriale è di competenza del Ministero dell’Interno e può avvenire per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ovvero per motivi di prevenzione del terrorismo. Avverso tali provvedimenti è ammessa impugnazione, nel termine di sessanta giorni, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma.
L’espulsione prefettizia, invece, viene disposta dal Prefetto territorialmente competente, con decreto motivato quando lo straniero si trovi nelle situazioni personali e di fatto previste al sopra citato articolo 13. Le ipotesi di espulsione prefettizia sono:
Contro il decreto prefettizio lo straniero può proporre ricorso al Giudice di Pace del luogo in cui ha sede l’Autorità che ha disposto l’espulsione entro trenta giorni dalla sua emanazione, ovvero sessanta nel caso che lo straniero risieda all’estero.
L’attività dell’amministrazione volta all’accertamento dei requisiti dell’espulsione non ha natura discrezionale, ma vincolata, salvo nel caso dell’accertamento della pericolosità sociale dello straniero. In tali casi la valutazione dei presupposti (appartenenza a categorie di persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità ovvero indiziate di appartenere ad associazioni di stampo mafioso o camorristico) è connotata dall’utilizzo di particolare cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca e pertanto può definirsi tipico esercizio di discrezionalità tecnica che esclude la possibilità per il giudica adito di svolgere un sindacato pieno ed assoluto.
Ai fini dell’accertamento della pericolosità dello straniero deve condursi un riscontro sulla base degli stessi elementi valutati in sede di emanazione di una misura di prevenzione. In particolare si devono valutare:
Per quanto riguarda la motivazione del decreto prefettizio di espulsione, la giurisprudenza ha sottolineato che “in presenza di un potere di natura vincolata, l’obbligo di motivazione si restringe all’indicazione della sussistenza dei necessari presupposti di legge per l’adozione del provvedimento, senza che occorrano ulteriori giustificazioni a sostegno” (Tar Piemonte Torino, 14/02/2004 n. 238).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, inoltre, il decreto prefettizio di espulsione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della Legge n. 241/1990, avendo tale decreto natura di atto ad emanazione vincolata e non discrezionalità ed essendo comunque garantito il contraddittorio, seppure differito, in via giurisdizionale (Cass. 22/08/2006 n. 18226; conforme: Cass. 9/04/2002 n. 5050).
Il decreto di espulsione (come tutti gli atti destinati allo straniero emanate dalle autorità amministrative competenti) deve essere comunicato allo straniero interessato, con l’indicazione delle modalità di impugnazione, a mezzo di ufficiale giudiziario o agente di pubblica sicurezza. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, alla suddetta comunicazione deve altresì essere unita una traduzione, non dell’intero provvedimento ma di una sintesi del suo contenuto, anche mediante dettagliati formulari, in una lingua conosciuta e comprensibile dallo straniero, ovvero, ove ciò non sia possibile, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, a seconda della preferenza dello straniero stesso.
Il decreto di espulsione, in quanto provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, è revocabile. Esso determina l’allontanamento dal territorio nazionale dello straniero, che verrà rinviato allo Stato di appartenenza, o se impossibile, allo Stato di provenienza. Lo straniero espulso non può rientrare in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno. Il divieto di reingresso in Italia opera per un periodo di dieci anni.
Modalità di esecuzione: fino a poco tempo fa, la regola generale era quella dell’accompagnamento immediato e coattivo alla frontiera. Il decreto di espulsione, infatti, veniva sempre eseguito dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e tale accompagnamento coattivo doveva avvenire con immediatezza: ciò salvo alcuni casi in cui era prevista l’espulsione mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni. Il decreto di espulsione diventava esecutivo solo laddove fosse spirato detto termine senza che lo lo straniero avesse ottemperato. Il Decreto Legislativo n. 89 del 2011 ha ribaltato l’impostazione appena esposta, trasformando l’immediata esecutività dell’espulsione in un’eccezione verificabile solo in determinate circostanze elencate dalla stessa normativa. Ora, quindi, la partenza volontaria è la modalità ordinaria di rimpatrio. Infatti, nei casi in cui non viene disposto l’accompagnamento coatto alla frontiera, lo straniero può richiedere al Prefetto un termine tra i sette e i trenta giorni per lasciare volontariamente il territorio dello Stato. Il Prefetto può aderire alla richiesta anche subordinandola all’attuazione di una serie di misure e dopo aver verificato che lo straniero sia in possesso di risorse idonee a consentirgli l’allontanamento volontario dal territorio nazionale. Al contrario, l’accompagnamento coatto alla frontiera può essere disposto esclusivamente in ipotesi specifiche. E cioè:
Tuttavia il variabile atteggiarsi delle circostanze del caso concreto non sempre consente l’esecuzione dell’accompagnamento immediato. L’art. 14 del D. Lgs. N. 289/1998 prevede un elenco di casi di impossibile esecuzione dell’accompagnamento coattivo, al ricorrere dei quali, anche di uno solo di essi, disgiuntamente, “il Questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino”. Lo straniero deve essere trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità e deve sempre essere garantita la libertà di corrispondenza, anche telefonica, con l’esterno.
Il provvedimento è sottoposto alla convalida del Giudice di Pace, previa trasmissione degli atti da parte del Questore entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento. Il nostro Studio Legale difende lo straniero nel procedimento di convalida del decreto di espulsione, che avviene in camera di consiglio e si conclude con decreto motivato, il quale viene adottato entro le quarantotto ore successive.
Espulsione giudiziaria: Come dice la parola stessa, questo tipo di espulsione viene disposto dall’autorità giudiziaria. Quanto alle ipotesi, distinguiamo: a) l’espulsione disposta a titolo di misura di sicurezza. Si tratta dell’espulsione disposta dal giudice nei confronti dello straniero al termine di un processo penale conclusosi con sentenza di condanna per uno di quei delitti considerati dal legislatori di particolare allarme sociale. Tale forma di espulsione trova fondamento nell’interesse politico e giuridico dello Stato a far venire meno la presenza all’interno del territorio di uno straniero che abbia manifestato, attraverso la commissione di un delitto di una certa gravità, una particolare attitudine a delinquere; b) espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, disposta anch’essa con la sentenza che definisce il processo penale a carico dello straniero.
Divieto di espulsione: ricordiamo che in nessun caso può disporsi l’espulsione dello straniero verso uno Stato in cui egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. Inoltre non è consentita l’espulsione nei riguardi:
Segnaliamo alcune sentenze interessanti in tema di divieto di espulsione: